venerdì 16 aprile 2021

Psychedelic



Psychedelic è un film del giovane cineasta calabrese Davide Cosco, presentato alla passata edizione del Festival del Cinema di Roma nella sezione Alice nella Città. In una sorta di Kammerspiele film, il regista mette in scena tre personaggi, nonno, padre e figlio, che, in un impianto fortemente teatrale e in una scenografia essenziale ma simbolica, rappresentano una umanità disorientata, alla deriva che si pone delle domande a cui nessuno sa dare delle risposte. Il padre, attore in crisi, vive nel retro di un teatro, alla continua ricerca di un finale che possa chiudere il suo dramma intimistico. Ossessionato da visioni psichedeliche e dal desiderio di morire. L'amico, gestore di una lavanderia a gettoni, con la sua ironia bilancia l'atmosfera cupa che grava intorno al protagonista. Il nonno, vive isolato in una casa sul mare, ormai vecchio e malato, comunica solo con messaggi vocali con il nipote, un sassofonista in conflitto con il padre e alla ricerca della sua strada. A fare da trait d'union tra questi personaggi è un sacerdote donna, che guida una chiesa aperta anche di notte agli ultimi, ai diseredati, agli esclusi. Una Chiesa donna e madre comprensiva (“Andate in pace, ovunque sia”). Esistenze frammentate ma tenute insieme dalla continua ricerca di capire, perchè non è immediatamente spiegabile e decifrabile tutto quello che accade.

Come spiega Davide Cosco. "L’idea di realizzare Psychedelic, dal greco psykhé, anima, e dêlos, chiaro, è nata sostanzialmente dalla volontà di avvicinare le esperienze materiali e immateriali che generazioni differenti hanno modo di compiere, attraverso un allargamento della propria coscienza e del proprio spirito, provando così a raccontare un carillon di anime antiche e nuove al contempo. Soggetti che da mondi paralleli cadono nelle proprie paure, sprofondano nei propri tormenti, rinascono nelle soffuse auree, nelle sottili ambizioni, accarezzano le tenere gioie e le effimere utopie. Per come possono, per quanto gli riesce, si interrogano sul senso dell’altrove. Oppure rimangono semplicemente fermi”. 

E' un film complesso, un cinema che non fa l'occhiolino alle ridicole commedie generazionali, un film che sembra pensato ideato e scritto da un regista alla fine della sua carriera, che in un flusso di coscienza cerca il finale giusto per suggellare il suo percorso artistico, invece il giovane Cosco pone domande e si interroga sulla ricerca di un altrove che può essere appena dietro l'angolo oppure dentro noi stessi. Nella voglia e nella sfida di ripensarsi sempre nuovi, nella curiosità di approcciarsi al nuovo e all'ignoto, di valicare le proprie linee di confine per poi ricostruirle altrove spinte dal desiderio e dalle necessità. Spazi inesplorati in cui avventurarsi, oltre le mappe convenzionali, solo per la gioia di stare al mondo.

E' un film potente che pretende e merita tempo ed attenzione, i dialoghi sono come frecce che centrano il bersaglio e che puntano diritti al cuore e alla mente dello spettatore e le parole scelte riescono a dare il senso del contesto a cui si riferiscono.

E' un film sulla realtà in un altro stato di coscienza che ogni uomo di conoscenza ha o che tende ad avere. Come se cercasse una via che conduca alla conoscenza delle leggi che governano il mondo, a questo proposito Andrè Breton nel secondo manifesto del surrealismo ha cercato di dare una risposta:

"Tutto induce a credere che esista un certo punto dello spirito da cui la vita e la morte, il reale e l'immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l'incomunicabile, l'alto e il basso, cessano di essere percepiti come opposti".