venerdì 2 dicembre 2022

Illusioni svanite

 



illusione

/il·lu·ṣió·ne/

sostantivo femminile

  1. 1.

Proiezione in ambito immaginario di elementi che non troveranno corrispondenza nella realtà contingente.

    "vivere di illusioni"

2. 2.

Percezione od opinione falsata da un errore dei sensi o della mente.

    "la prospettiva in pittura dà l'i. della profondità"


Illusione è la parola che mi risuona in testa, continuamente, in questi giorni.

Illusion è l'ultimo album di Stefano Rampoldi, in arte Edda. Già Ritmo Tribale, dopo varie vicissitudini personali da qualche anno è ritornato a fare canzoni di grande qualità grazie soprattutto alla produzione di Gianni Maroccolo. Personaggio fuori dagli schemi e di sensibilità rara esprime nelle sue canzoni la sua difficoltà a rapportarsi con i meccanismi e gli automatismi proposti da questo sistema, mosso da un proprio sentire spirituale fa musica per difendersi dalle continue tensioni che gli crea il reale. “ Siamo in guerra e stiamo perdendo tutti, perché le guerre non sono fatte per essere vinte, è una illusione pensare di vivere questa realtà”. 11 canzoni che crescono con l'ascolto, con testi che possono sembrare senza senso ma che alternano ironia alla Freak Antoni a crude verità.

Maya in sanscrito vuol dire creazione ma di conseguenza anche illusione. Molte dottrine filosofiche e religiose lo interpretano come il «velo» che ostacola l'essere individuale a riscoprire la propria relazione con Dio, e che impedisce di riconoscere la propria identificazione con esso illudendo l'anima di essere un individuo distinto dal tutto.

Nel suo romanzo Uno, nessuno e centomila, Pirandello spiega come l'uomo si nasconda dietro un velo di Maya che non consente di conoscere la propria personalità. Per Schopenhauer il velo di Maya rappresenta ciò che nasconde la realtà delle cose e per questo bisogna strapparlo se si vuol conoscere il mondo. Ormai è evidente come il nostro io vive all'interno di una dimensione illusoria, ogni giorno si manifesta l'insostenibilità di questo modo di essere totalmente determinato dal sistema capitalistico, è in atto una mutazione che investe il nostro vivere quotidiano, una grande trasformazione antropologica.

Negli anni sessanta e settanta, la controcultura rappresentava una minaccia per il sistema, era capace di contagiarci con la sua euforia e di portarci oltre la cooptazione capitalista del principio del piacere, un'epoca dove sembrava che la rivoluzione culturale potesse innescare una rivoluzione politica. Non ne vogliamo fare una nostalgica icona e neanche una allucinata autopsia di un sogno ormai andato ma è opportuno analizzarne il potenziale politico e culturale. Un potenziale ravvisabile nei comportamenti e modelli culturali capaci di tracciare legami tra coscienza di classe e coscienza di gruppo. L'aspetto fondamentale di quegli anni è stato la presa di coscienza, dall'autocoscienza femminista alla coscienza di classe che accomunava tutta la forza lavoro, senza distinzioni di categorie o comparti, un processo necessario poiché la coscienza della propria esistenza non è autoevidente ma la si evidenzia con il confronto con gli altri. Prendere coscienza è soprattutto un processo creativo nel relazionarsi con il mondo. La sinistra è stata incapace di rappresentare nuove forme di desiderio a cui la controcultura aveva dato voce. Il modo di vivere collettivo e comunitario della controcultura degli anni sessanta e settanta si è arenato poiché c'è stato un arretramento della coscienza, dove alcune forme inglobate dal capitalismo hanno provocato una frantumazione della solidarietà. La sinistra è stata incapace di rappresentare le nuove forme di desiderio che cominciavano a prendere vita, per programmare e progettare quello che Marcuse auspicava, un socialismo democratico o comunismo libertario, per cui mentre ascoltavamo musica che parlava di libertà, peace and love, gli apparati di partito, specialmente del PCI, puntavano alla centralizzazione ed al controllo statale. In molti casi hanno innescato azioni di sabotaggio per evitare che l'argomento assumesse una questione rilevante. La piccola borghesia che dominava nelle accademie e nell'industria culturale ha attuato un sistematico depistaggio atto a sminuire la coscienza di classe e omologando la cultura ad escludere l'idea politica del nuovo che stava nascendo. Siamo tutti classe media ha dichiarato negli anni novanta il vice primo ministro di Tony Blair, rappresentante del Labour Party, e la classe operaia si è fatta ceto medio, illudendosi di elevare la propria condizione sociale e cadendo nella trappola del desiderio/subordinato che dopo una sbornia iniziale ed una abbuffata di beni di consumo, spesso superflui, ora non ha nessun soggetto politico che possa rappresentare la propria rabbia repressa, la frustrazione e le preoccupazioni dovuti a nessuna certezza del futuro. Penso che da queste negatività debba ripartire una grande forza di sinistra, mettere da parte la malinconia dei bei tempi andati e pensare ad un soggetto collettivo con una coscienza di gruppo, una coscienza collettiva delle classi subalterne, una consapevolezza che alimenti la coscienza di essere subordinati a questo sistema discriminatorio.

Il malcontento si deve tradurre in proposta politica. Il capitale ha paura di tutto questo e manovra per sabotare la crescita di una consapevolezza che dia origine ad una nuova coscienza di classe, non ci può essere una rivoluzione politica se non c'è prima una rivoluzione culturale, bisogna andare oltre l'attrazione libidinale del capitale che crea rassegnazione e infelicità quando non si riescono a soddisfare bisogni e desideri, è dalla cultura che deve nascere l'attrazione verso bisogni e desideri che portino ad un indirizzo politico.

La reificazione della storia praticata dalla vittoria ideologica del capitalismo è una delle principali strategie per consolidare la sua posizione e confinarci in una stasi senza fine, ma Lukacs ci ricorda che la storia è un prodotto dell'uomo, anche se inconsapevole, e le relazioni che l'uomo stabilisce con se stesso, con gli altri uomini e con la natura sovvertono le forme di oggettualità che plasmano l'esistenza dell'uomo.

In questi ultimi anni, stiamo cominciando a capire che la promessa di uguaglianza, prosperità e pace è svanita. Che il mondo che si sta creando è un mondo solo per ricchi, che lo vogliono fare con i nostri sacrifici É la fine di tutte le illusioni. E non è detto che sia una brutta cosa se si consolida la consapevolezza che chi continua a governare e a dominare il lavoro e la vita sociale è il naziliberismo, che di volta in volta si serve della coalizione politica che offre più garanzie. Niente sembra fermare l'apocalisse prodotto da questo drago dalle innumerevoli teste ma sperimentare forme di vita urbana creative e collettive può rendere possibile una vita felice, un arcipelago di isole, anche se limitate nello spazio e nel tempo dove sospendere l'ordine costituito. E' l'ultima delle illusioni.

Articolo apparso nel numero 12 di novembre 2022 di Affiches, rivista di Radio Vulture