giovedì 24 agosto 2017

terra desolata



Foto di ML




Desolate terre del mio cuore.

L'incessante e  assordante frastuono delle cicale fa da bordone al rumore dei nostri passi.
I cenni di saluto degli anziani che vanno verso casa con movenze stanche rappresentano le rimanenti difese di una memoria rasa. Sui loro volti i segni di vite di paese.
Muri scrostati ed infissi divelti dall'incuria dell'uomo e dall'inevitabile trascorrere  del tempo tenuti insieme da catene e catenacci quasi a voler salvaguardare nonostante tutto segni di un abitare passato.

Mi sembra di vederlo, ora, mentre scende la 'mpitrata con fare disinvolto e leggero, le mani nelle tasche dell'impermeabile svolazzante ed il sorriso ingenuo di chi torna a casa. Sguardo diritto davanti a se.
 " o tu che passi per questa via, alza gli occhi e saluta Maria "
Chissà quante volte avrà percorso in discesa e salita quell'acciottolato che i piedi sapevano dove posarsi senza timore di incespicare e cadere.
A metà strada, sulla destra c'era la casa della sorella prediletta che si annunciava già all'inizio della discesa dall'intenso odore dei gelsomini che spuntavano in alto dal muro del cortile, quasi all'entrata del cancello. Era la sua unica fermata.

Desolata terra del mio cuore.

Borgo concettuale di contenuti fantasma popolato da una comunità che senza farlo a vedere non si fida. La piazza ne sopporta ancora i boriosi passi, stanca e vogliosa di sprofondare per mettere fine alla commedia.
Occhi che si scrutano in silenzio e lingue mute.
Finalmente incurante di una ormai disinteressata identità mi travolge un ineluttabile senso di abbandono che preclude l'oblio.



domenica 13 agosto 2017

RIDDA di Alessandra Mr D'Agostino




 
ridda
rìd·da/
sostantivo femminile
  1. 1.
Antico ballo, con persone che giravano in tondo tenendosi per mano e cantando.
  1. 2.
fig.
Movimento vorticoso, disordinato, convulso che frastorna o stordisce.
"una r. di pensieri"
Devo ammettere la mia sorpresa alla telefonata di Alessandra poiché non ci si sentiva da un po' di tempo, benché seguissi sul web le sue innumerevoli attività. Devo ammettere anche il mio sentirmi confuso alla sua proposta di scrivere qualcosa che accompagnasse il suo lavoro, dalle sue parole prima e dalla lettura di Ridda dopo ho compreso che il suo libro parlava anche di me.
Guardo la pagina bianca, chiudo gli occhi per riordinare le idee. Ed allora la cosa più onesta e corretta, mi sembra, parlando di Ridda, di farsi prendere da questo vorticoso flusso dando libero sfogo ai pensieri che affollano la mia mente.
Nel vano tentativo di sottrarsi ad un anonimo passaggio, nel tenersi al riparo si arriva a dei punti nodali, come ad un bivio da cui può dipendere la propria vita e quella degli altri. Come per i due protagonisti del romanzo. L'istinto della fuga viene fermato da una violenta deflagrazione che ti spinge a terra inebetito, con il respiro sospeso, in apnea.
Nulla dura per sempre. Sempre allo stesso modo. Neanche nelle fiabe. Dell’avvertire ciò che può avere un senso ed un significato come un raccontare in modo adeguato e conveniente l’ambiguità della realtà. Della convinzione malsana di poter capire le complessità della vita e di dominarla. Del desiderio di darle un senso e di questo inganno che ci porta alla follia e alla morte. Capisci che la sofferenza viene tenuta a bada ed il dolore anestetizzato dalla paura di andare oltre le compensazioni. L’incapacità di essere se stessi, mai sufficientemente, si scontra con il desiderio di rappresentarsi. Ridda. In rotta di collisione con l’immagine dell’individuo ideale che questo mondo in fuga da se stesso vuole e pretende. Iniziative, autonomia di azione, rimedi farmacologici peggiori del male, emancipazione dal senso di colpa, parossismo dell’efficienza, afasia mentale, avvento dell’individuo, libertà illimitate che l’individuo si assegna, preoccupazione di apparire normali. E allora comprendi che bisogna contraddirsi continuamente, riconoscersi in queste contraddizioni e andare avanti per superare se stessi, superare il dovere essere, per forza, per piacere, oltre la negatività che ti attanaglia. Solo la nostra presunzione ci fa credere di essere protagonisti di un’epoca, che spesso si reputa irripetibile. L’agio e il compiacimento di se stessi diventano una sosta permanente dove trovare un ideale a buon mercato a cui aderire a lungo termine. Una inoffensiva comodità diventa violenta e genera desideri che pretendono sacrifici. Vani.
I corpi si sfiorano, si sovrappongono, figure che mal si adeguano al tempo presente, la macchina della memoria srotola la loro immagine sfuocata in rappresentazioni di un passato che trova il suo centro in tende lise da cucire.
Le parole sono crude, dirette ed i dialoghi ti lavorano ai fianchi.
Città verticali vomitano corpi esausti e dilaniati. Corpi digitali. Tracce digitali. In camere d'ospedale. Punti luce. Blocchi di cemento e ferro. Corridoi come lame di coltello.
Città mutate. Non solo in superficie. Albe offuscate. Tutto passa, tutto muore ma il cuore non dimentica. Il ricordo vive sulla distanza tra spazio e tempo e la sua evoluzione si nutre del raccontare.
Prefazione di Gianfranco Candeliere

Suoni per Ridda di Gianfranco Candeliere