ridda
rìd·da/
sostantivo
femminile
- 1.
Antico
ballo, con persone che giravano in tondo tenendosi per mano e
cantando.
- 2.
fig.
Movimento
vorticoso, disordinato, convulso che frastorna o stordisce.
"una
r. di pensieri"
Devo
ammettere la mia sorpresa alla telefonata di Alessandra poiché non
ci si sentiva da un po' di tempo, benché seguissi sul web le sue
innumerevoli attività. Devo ammettere anche il mio sentirmi confuso
alla sua proposta di scrivere qualcosa che accompagnasse il suo
lavoro, dalle sue parole prima e dalla lettura di Ridda dopo ho
compreso che il suo libro parlava anche di me.
Guardo
la pagina bianca, chiudo gli occhi per riordinare le idee. Ed allora
la cosa più onesta e corretta, mi sembra, parlando di Ridda, di
farsi prendere da questo vorticoso flusso dando libero sfogo ai
pensieri che affollano la mia mente.
Nel
vano tentativo di sottrarsi ad un anonimo passaggio, nel tenersi al
riparo si arriva a dei punti nodali, come ad un bivio da cui
può dipendere la propria vita e quella degli altri. Come per i due
protagonisti del romanzo. L'istinto della fuga viene fermato da una
violenta deflagrazione che ti spinge a terra inebetito, con il
respiro sospeso, in apnea.
Nulla
dura per sempre.
Sempre allo stesso modo. Neanche nelle fiabe. Dell’avvertire ciò
che può avere un senso ed un significato come un raccontare in modo
adeguato e conveniente l’ambiguità della realtà. Della
convinzione malsana di poter capire le complessità della vita e di
dominarla. Del desiderio di darle un senso e di questo inganno che
ci porta alla follia e alla morte.
Capisci che la sofferenza viene tenuta a bada ed il dolore
anestetizzato dalla paura di andare oltre le compensazioni.
L’incapacità di essere se stessi, mai sufficientemente, si scontra
con il desiderio di rappresentarsi. Ridda. In rotta
di collisione con l’immagine dell’individuo ideale che questo
mondo in fuga da se stesso vuole e pretende. Iniziative,
autonomia di azione, rimedi farmacologici peggiori del male,
emancipazione dal senso di colpa, parossismo dell’efficienza,
afasia mentale, avvento dell’individuo, libertà illimitate che
l’individuo si assegna, preoccupazione di apparire normali. E
allora comprendi che bisogna contraddirsi continuamente, riconoscersi
in queste contraddizioni e andare avanti per superare se stessi,
superare il dovere essere, per forza, per piacere, oltre la
negatività che ti attanaglia. Solo la nostra presunzione ci fa
credere di essere protagonisti di un’epoca, che spesso si reputa
irripetibile. L’agio e il compiacimento di se stessi diventano una
sosta permanente dove trovare un ideale a buon mercato a cui aderire
a lungo termine. Una inoffensiva comodità diventa violenta e genera
desideri che pretendono sacrifici. Vani.
I
corpi si sfiorano, si sovrappongono, figure che mal si adeguano al
tempo presente, la macchina della memoria srotola la loro immagine
sfuocata in rappresentazioni di un passato che trova il suo centro in
tende lise da cucire.
Le
parole sono crude, dirette ed i dialoghi ti lavorano ai fianchi.
Città
verticali vomitano corpi esausti e dilaniati. Corpi digitali. Tracce
digitali. In camere d'ospedale. Punti luce. Blocchi di cemento e
ferro. Corridoi come lame di coltello.
Città
mutate. Non solo in superficie. Albe offuscate. Tutto passa, tutto
muore ma il cuore non dimentica. Il ricordo vive sulla distanza tra
spazio e tempo e la sua evoluzione si nutre del raccontare.
Prefazione di Gianfranco Candeliere
Suoni per Ridda di Gianfranco Candeliere