E'
arrivato finalmente nei cinema il docu-film più interessante ed
intenso dell'anno, presentato al Torino Film Festival e premiato con
un Nastro d'Argento come migliore documentario, nella sezione “Cinema
del reale”. “La Generazione perduta” di Marco Turco, scritto
dal regista e da WuMing2 e Vania Del Borgo, prodotto da MIR
Cinematografica e Luce Cinecittà in collaborazione con Rai Cinema e
AAMOD. Al centro della vicenda c'è Carlo Rivolta, giovane
giornalista di Repubblica sin dal primo numero. Attraverso la sua
vita si narra la storia di una generazione, come spiega il regista
Marco Turco “ una
sinfonia corale accompagnata dalla voce di un solista, attraverso le
parole e lo sguardo di Rivolta viviamo in diretta lo spirito dei
tempi, le enormi speranze e le amare delusioni di una generazione
devastata dall'eroina”.
Siamo negli anni settanta, il Movimento Studentesco, l'Autonomia, la
lotta armata. Famoso l'incipit del suo articolo “La
rabbia studentesca”
su Repubblica sulla cacciata di Lama dalla Sapienza di Roma, “
Alle 8 del mattino, sotto un cielo plumbeo e le prime gocce di
pioggia, gli schieramenti nell'Università erano già formati, anche
se la tensione era ancora minima. Nel piazzale della Minerva il
servizio d'ordine del sindacato e del Pci, con i cartellini rossi
appuntati sul bavero delle giacche..... presidiava la piazza del
comizio”. Quando
nel '78 avviene il rapimento di Moro e l'uccisione della scorta viene
mandato in Via Fani. Fu proprio lui a scrivere l'articolo sul
sequestro Moro per l'edizione straordinaria de La Repubblica del 16
marzo 1978. Nei suoi articoli, in contrasto anche con il suo giornale
ed i suoi ex compagni, si dichiara favorevole alla trattativa con le
Br per la liberazione di Moro, per questo motivo viene bollato dai
suoi ex compagni come un traditore del popolo e minacciato di morte.
Carlo Rivolta si autodefinì così: “Un
giornalista critico verso la mia professione e, dal punto di vista
politico, un militante critico verso la mia stessa area di
appartenenza”. Non
è un caso che si ritrovi tra più fuochi: accusandolo di incoerenza,
l’ala violenta del movimento studentesco gli dà del “borghese”,
i più moderati colleghi di Repubblica lo considerano un estremista.
Per l'Autonomia e le Br è un infame. Le
sue cronache avevano il pregio di portare il lettore dentro gli
avvenimenti, insieme con le passioni che ne animavano la scrittura.
Essa partecipava al mondo che descriveva senza nascondersi dietro il
fantasma ipocrita della neutralità: era consapevolmente militante,
ma al tempo stesso fredda e asciutta, con un gusto per la vivisezione
delle dinamiche del potere, all' improvviso squarciata dall'irrompere
di una disperata vitalità.
L'amico e giornalista di nera Massimo Lugli
lo descrive come un qualsiasi giovane di quegli anni “il
giubbotto di renna sdrucito, la barba incolta, la moto, una
fantastica Honda 350 verde che coccolava quasi quanto i suoi cani”.
Bob
Marley
e San
Francisco
altri due suoi grandi amori, l’orecchino un altro segno
distintivo”, poi
aggiunge,” la
lettura delle sue cronache fu la prima crepa di dubbio, quasi un
bagno di autocoscienza”.
Carlo Rivolta ha rappresentato le pulsioni ed i drammi di una
generazione nell'Italia degli anni '70, gli
anni dei sogni e della rivoluzione interrotta.
La lotta armata e l'uccisione di Aldo Moro segnarono profondamente ed
in modo negativo molti giovani che vedono la carica rivoluzionaria
esaurita. Delusi e sconfitti, estraniati e spaesati tanti finirono
senza neanche accorgersene nel gorgo dell'eroina che in quegli anni
sommerse l'Italia, se ne sapeva poco, tanti ci cascarono e tanti ne
morirono. Su Lotta Continua ogni giorno c'era almeno un necrologio di
qualche compagno morto. Dalle famiglie ai medici agli stessi ragazzi
tutti si trovarono impreparati, non essendo in grado di affrontare la
dipendenza. Carlo Rivolta seppe raccontare ogni sfaccettatura:
filiera, effetti, economia, rituali, tagli, terapie. Indagando il
fenomeno della diffusione dell'eroina finì per diventare egli stesso
un consumatore, sviluppando una dipendenza che lo condurrà alla
morte. I suoi articoli attaccavano l'ottusità dei politici che non
vollero capire cosa si doveva fare e analizzavano quel particolare
periodo storico dove il consumo di droghe pesanti era legato
soprattutto alla sconfitta politica e alla grande disillusione di una
generazione. Nel film c'è tutto questo grazie al materiale
dell'archivio Rai e dell'archivio Luce, le immagini d'archivio
volutamente sgranate e nebulose contrastano con le immagini nitide
delle interviste attuali proprio per rimarcare l'angoscia di quegli
anni, come se niente avesse più senso, svanita ormai la speranza di
cambiare il mondo.
Dalle
testimonianze di chi lo ha conosciuto, la compagna storica, i
colleghi e gli amici, emerge una figura con tutte le sue
contraddizioni ma anche con la sua coerenza nel cercare fino alla
fine la verità che lo porterà alla autodistruzione. La voce di
Carlo Rivolta esce da un vecchio registratore Geloso ed è affidata a
Claudio Santamaria che legge brani dei suoi articoli. “ La
vicenda di Carlo Rivolta diviene la personificazione emblematica di
un mondo che mutava inesorabilmente travolgendo le attese e le
speranze di una generazione che aveva creduto nel cambiamento e si
ritrova a contare i propri morti.”
Carlo
Rivolta è morto all'età di 32 anni, dopo 5 giorni di coma per una
caduta dalla finestra del primo piano del palazzo in cui viveva a
Roma in seguito ad una crisi di astinenza, ora riposa nel cimitero di
Trebisacce, nell'Alto Jonio Cosentino”, il paese della madre, dove
aveva trascorso le belle estati.
Articolo apparso sul numero di maggio 2023 di Affiches, rivista di Radio Vulture