Due sono i musicisti i cui lavori sto
ascoltando costantemente ma è la musica di Rooms Delayed che è
diventata una mia buona compagna di viaggio attraverso questa mia estate del nostro scontento. Rooms Delayed,
appunto, e Stephan Mathieu, di cui ho parlato brevemente in un
precedente post. Tutti e due hanno qualcosa che me li fa amare e che
me li accomuna, mi sembra che l'uno sia una prosecuzione dell'altro,
ma è senz'altro in me il minimo comune denominatore tra i due. Il
razzo di Mathieu è caduto nello spazio interiore di Rooms Delayed,
ha spento i motori, ma invece di schiantarsi al suolo sembra planare,
guardandosi intorno, indeciso su quale luna atterrare, fino a che non
si accorge delle galassie create da so i can feel through the
trees. Sento per Rooms Delayed una affinità estetica
inspiegabile vista la differenza di età ed un medesimo approccio
sonoro ma Vincenzo Nazzaro disegna traiettorie libere da costrizioni,
puntando senza paura e senza timore di mostrarsi verso regioni
profonde popolate da ricercatori pronti a comporre la propria
cartografia emozionale. Si presenta come un viaggiatore solitario
armato solo della propria bussola interiore e non ha necessità di
inseguire superflui tecnicismi o momentanee scene per
accreditarsi. Suoni della tradizione e della memoria che Rooms
Delayed manipola fino a renderli fluidi e senza confini, arte che da
soggettiva diventa oggettiva poiché da tutti compresa. I suoni che
usa sembrano ricomporre un linguaggio antico necessario per mettere
insieme pezzi sparsi del proprio divenire, suoni fatti per una danza
leggiadra e soave, mossa da una leggera malinconia per un tempo
ancestrale che si rivela appena. Musiche per
stanze dove le dimensioni variano in base alla sensibilità
dell'ascoltatore. Musiche come strumento di percezione
verso una visione interiore.