martedì 9 febbraio 2016

Apolide



                     
  Percorro la lunga galleria non illuminata in apnea e con gli abbaglianti accesi pronto ad
‏ abbassarli se arriva una macchina in senso contrario. La fine del tunnel è un puntino luminoso che si fa sempre più grande man mano che mi avvicino. Uno scenario sorprendente mi si rivela davanti agli occhi, il paesaggio è vario, selvaggio e arido, la timpa della sposa mostra le sue ere a picco sul fiume, che si fa d'argento a seconda di come va il sole, sulla destra si elevano bianchi calanchi e in lontananza dopo la lunga discesa e il rettifilo il ponte annuncia la fine della corsa.
‏Apolide.
‏Subire la negatività degli altri fino ad esserne imbevuto totalmente come una spugna genera insicurezza e poca autostima, si insedia come una malattia fino a non averne più il controllo, si cade nella depressione più nera da cui a volte è difficile uscirne.
‏Con il trascorrere degli anni ci si guarda intorno increduli, talento sedato e fagocitato ormai spento, svuotata sembra diventata la tua vera natura.
‏Apolide.
‏Tracce del tuo tempo cerchi di rintracciare sui muretti a secco che hai riportato alla luce liberandoli dalla boscaglia che li aveva inghiottiti interrandoli così tanto da dimenticarsene. Mangi un fico dall' albero, chiudi gli occhi con tutti i sensi pronti a riconoscere sapori antichi. Il venticello è gradevole e porta solo odore di mare, tenti di ricordarne la sua particolarità ma per quanto ti impegni e ti ostini a non mollare alla fine di ricordi non c'è traccia, è solo brezza di mare.
‏Apolide.
‏La tristezza che genera la malinconia te la si legge in faccia, una ruga d'espressione sembra disegnata proprio lì all'angolo del naso che scende fino al mento, una musica popolare ungherese suona un lento valzer per ubriachi disposti alla resurrezione. I volti sono duri, quasi scolpiti dalla pietà. La pioggia scivola sui muri e forma pozzanghere e rigagnoli, il passo è un esercizio fisico e lo sguardo fisso, muto.
‏Apolide.
‏La stanza è abbastanza grande e tu la percorri in lungo ed in largo, lentamente, misurandola. Pensi al domani, alla partenza. Lo spazio che ti racchiude non ti dà la necessaria forza per uscire. Attendi. Nessun segno, nessuna parola. Pensi a qualcosa da fare, ma niente ti convince, la mente trova innumerevoli ostacoli per dissuaderti dal fare qualsiasi cosa. Esci d'impeto, ti ritrovi ad andare verso il parcheggio, eviti sguardi e persone, una donna depone fiori all'altarino della madonna, un veloce buonasera, continui verso l'auto, la apri e ti siedi sul lato del passeggero, fai finta di cercare qualcosa, apri lo sportello ed esci, verso casa, fai il giro lungo per non incontrare la donna dei fiori.
‏Finalmente di nuovo nella stanza. Decidi di farti una doccia. Fai la doccia.
‏Apolide.
‏La storia si ripete in situazioni già consumate stancamente, secondo vie già sperimentate, la tragedia è diventata una farsa per l'estrema mancanza di coraggio nel prendere una decisione. Musica e risate sguaiate perché divertirsi è un obbligo a cui non ci si può non attenere per festeggiare nel modo più formale la ricorrenza, tutti amici per una sera o per un momento. Stasera bisogna mettere da parte sguardi assassini e sostituirli con sorrisi di circostanza che celano parole pronunciate a denti stretti.
‏Apolide.
‏La meraviglia scioglie i pugni stretti sprofondati nelle tasche tese e la luce della luna inonda i corpi proiettandoli oltre il confine, lo smarrimento rimane una messinscena fino a che non si percorrono i vicoli dimenticati del paese e ivi si assaporano gli odori portati dal vento di settembre.